venerdì 8 gennaio 2010


FOTOGRAFIE DI UN'ITALIA DIVERSA.
LE LOTTE DEI LAVORATORI ITALIANI
Dal Megafono in prossima uscita
Nel mese di dicembre le immagini di Piazza Montecitorio, con i lavoratori di Termini Imerese che tornano a casa con le bandiere arrotolate, hanno affiancato i messaggi di auguri del ministro dell’economia Giulio Tremonti che assicura un 2010 “anno della ripresa”.
Una contraddizione evidente che ha accompagnato l’autunno caldo dei maggiori poli industriali italiani. Famiglie lasciate sole dall’“Italia che conta” a difendere il diritto al lavoro. Situazioni spesso gravissime di cui i media non parlano, forse per non alimentare il pessimismo tanto in odio al Primo Ministro, forse perché la crisi e la disoccupazione non fanno novità ed infastidiscono quando si mangia il pandoro. Eppure in questi mesi, ed ancor più a dicembre, sono state decine e decine le proteste dei lavoratori italiani che rischiano, e per molti di loro è una certezza, di rimanere a casa con l’anno nuovo.
Un ampio panorama di cui per mancanza di spazio possiamo riportare solo qualche esempio.
Prendiamo i Precari Ispra che da più di 40 giorni sono sul tetto dell'Istituto Superiore per la protezione e ricerca ambientale a Roma per protestare contro i 500 licenziamenti nascosti dal mancato rinnovo di un contratto a termine. E poi quelli dell'ex Eutelia, sempre a Roma, che hanno occupato da ottobre la sede dell'azienda sulla Via Tiburtina per bloccare la procedura di licenziamento di 1.800 dipendenti in tutta Italia, licenziamenti avvenuti a seguito della cessione di ramo d’azienda alla società Omega-Agile. I lavoratori della Yamaha sul tetto in una Milano sconcertata per chiedere un accordo nero su bianco per la cassa integrazione. Gli operai di Termini Imerese e Pomigliano D’Arco che rientrano da piazza Montecitorio a Roma dove Sergio Marchionne ha ufficializzato che la FIAT non produrrà più auto negli stabilimenti italiani a partire al 2012 in vista di delocalizzazioni in Polonia. Perché oggi non licenzia più solo chi è in crisi, licenzia anche chi ha visto i profitti crescere di anno in anno, ma dinnanzi alle sirene di un costo del lavoro più conveniente abbandona l’Italia.
Abbiamo trascorso un Natale diverso dai floridi messaggi di chiusura anno del governo Berlusconi, una fotografia che evidenzia una nazione ben lontana dal riprendersi nonostante i lusinghieri proclami dell’opinione mediatica compiacente agli interessi dei padroni del biscione. L'autunno caldo italiano ricorda la fine dell'estate scorsa, quando per una settimana quattro operai della INNSE Presse ed un funzionario Fiom si barricano su una gru della fabbrica lombarda, dopo duri scontri con le forze dell'ordine in assetto anti sommossa, fino ad ottenere un accordo fra una cordata di acquirenti guidata dal gruppo Camozzi di Brescia e il proprietario Silvio Genta. Il diritto al lavoro in Italia è passato dalle catene ai cancelli, dai tetti barricati, dalla repressione della polizia, dai blitz di vigilantes dell'Eutelia guidati da un ex amministratore delegato, dal sequestro di struttura e dirigenti dell'Alcoa di Portovesme in Sardegna dove il colosso americano ha deciso di sospendere la produzione prevedendo licenziamenti per oltre 2000 persone, le stesse manganellate dalle forze dell’ordine a Roma il 18 Novembre quando manifestavano davanti il Ministero per le politiche comunitarie. Repressione violenta e censura sono dunque gli strumenti del ribattezzato “partito dell’amore” alias PDL per far ripartire l’economia. E la Lega, che proprio tra le classi operaie ha fatto incetta di consensi, tace, collusa con i poteri forti di sempre, troppo impegnata a difendere l’indifendibile operato dell’esecutivo, troppo presa dal fare finta opposizione interna. Intanto i lavoratori pagano le conseguenze della logica capitalistica di un governo che taglia i fondi alla ricerca, all’istruzione, deruba i TFR, privatizza l’acqua, tollera licenziamenti di massa da parte delle solite multinazionali intoccabili per salvare unicamente banche, evasori fiscali, grandi imprenditori e sfruttatori del lavoro in nero degli extracomunitari. L’autunno caldo per pagare la “crisi” delle banche è toccato a loro, gli operai: gli ultimi degli ultimi, coloro che lo stato di Silvio disconosce in nome di un consenso che cresce solo in mancanza di un’opposizione politica radicale e radicata. Per cambiare questo futuro iniziamo quindi a lottare già dal gennaio 2010 per il diritto al lavoro degli italiani: la ricostruzione nazionale che Forza Nuova auspica inizia proprio dai tetti e dalle piazze dei nostri operai.

Nessun commento: